Il Tribunale di Verona in controtendenza: niente responsabilità della casa di cura privata se il paziente stipula col medico il contratto di prestazione d’opera

Il Tribunale di Verona in controtendenza: niente responsabilità della casa di cura privata se il paziente stipula col medico il contratto di prestazione d’opera
30 Ottobre 2017: Il Tribunale di Verona in controtendenza: niente responsabilità della casa di cura privata se il paziente stipula col medico il contratto di prestazione d’opera 30 Ottobre 2017

Il Tribunale di Verona contraddice la giurisprudenza dominante secondo la quale le strutture sanitarie private devono rispondere dei danni subiti dl paziente a causa dell’inadempimento del medico “anche quando quest’ultimo sia stato individuato dal paziente” stesso “e sia stato solo il tramite per la scelta della clinica” (in tal senso si vedano, ad esempio: Trib. Roma, Sez. XIII, 25.1.2017, n. 1256,  Tribunale di Reggio Emilia, Sez. II, 7.7.2016).

In tal caso si afferma la responsabilità della clinica privata perché “comunque sussiste un collegamento tra la prestazione” effettuata dal medico “e la sua organizzazione aziendale” (Cass. Civ., Sez. III, 22.9.2015, n. 18610).

Il Giudice scaligero, con una sentenza pubblicata il 22.6.2017, invece, perviene alla conclusione opposta escludendo anzitutto “una responsabilità diretta della casa di cura, dal momento che, nell’ipotesi in cui il paziente abbia già conferito un incarico al medico di fiducia, il contratto che, anche per facta concludentia, il paziente successivamente concluda con la casa di cura (contratto atipico di spedalità) non può che affiancarsi a quello stipulato con il medico, ed avere un contenuto che – salva l’esistenza di diversi elementi da cui desumere una diversa volontà delle parti – resta circoscritto alle diverse prestazioni accessorie di messa a disposizione della struttura, delle attrezzature e del personale ausiliario”.

Ma, in questo caso, è da escludersi pure “una responsabilità per fatto dell’ausiliario ai sensi dell’art. 1228 c.c.”.

Questo genere di responsabilità, infatti, “presuppone, per un verso, che la casa di cura privata abbia assunto in proprio l’obbligazione di eseguire l’intervento nei confronti del paziente e, per un altro verso, che non intercorra un autonomo rapporto contrattuale tra il paziente e l’ausiliario. Ciò accade solo quando, essendosi il paziente rivolto direttamente alla clinica, la prestazione viene eseguita da uno specialista inserito nella struttura in esecuzione dell’obbligazione assunta dalla clinica medesima, e, proprio per questo, in qualità di ausiliario”.

Tale non può, invece, reputarsi il medesimo specialista quando si obblighi “personalmente ad eseguire la prestazione medica”, agendo in tal modo “come obbligato principale e non come ausiliario della casa di cura”.

Quest’ultimo essendo il caso che ricorreva nella fattispecie controversa, il Tribunale di Verona ha dunque rigettato la domanda proposta contro la casa di cura privata, accogliendo invece quella formulata nei riguardi del medico.

La decisione fa riflettere in merito ad una giurisprudenza ormai tralaticia che ravvisa egualmente la responsabilità della casa di cura, nei casi in cui il paziente in realtà concluda un contratto di prestazione d’opera con il medico specialista e questi si limiti ad avvalersi della struttura e dei servizi di una casa di cura privata per eseguire la propria prestazione.

Le incongruenze di una simile soluzioni sono infatti evidenti.

Da un lato si dovrebbe ammettere che il paziente stipuli due diversi contratti (con due soggetti diversi) aventi ad oggetto la medesima prestazione (l’esecuzione di un intervento chirurgico o di un altro atto terapeutico).

Dall’altro non si capisce per qual motivo una simile, singolare costruzione giuridica possa trovare origine nella sussistenza di un “collegamento” tra l’anzidetta prestazione del medico e l’”organizzazione aziendale” della casa di cura, e non nella volontà delle parti che, nel caso specifico, non ha di certo per oggetto l’esecuzione dell’intervento chirurgico o dell’atto medico, ma le sole prestazioni accessorie anzidette.

Sotto questo profilo l’argomentare del Giudice scaligero appare invece ineccepibile ed imporrebbe a tutti una più meditata ponderazione dei principi accolti dalla giurisprudenza dominante.

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